Swing Chopin di Angelo Leonardi -
Se escludiamo che Django Reinhardt e Frédéric Chopin sono nati a cent'anni esatti di distanza (e proprio nel 2010 cade il loro anniversario), cos'altro hanno in comune? Fino ad ora nulla eccetto qualche improbabile reinterpretazione del grande autore polacco da parte del chitarrista zingaro.
Nella sua discografia spiccano belle versioni del primo movimento del Concerto in Re min di Bach ma non ne ricordiamo su Chopin.
A stabilire un trait d'union ci pensa ora il clarinettista e sassofonista tedesco Klaus Lessmann, apprezzato docente a Siena, che ha elaborato questo progetto con due chitarristi (Maurizio Geri e Riccardo Galardini) e un contrabbassista (Paolo Ghetti).
Il quartetto a corde parte già col piede giusto evitando di ricreare scontate atmosfere manouche e reinterpreta alcuni valzer e mazurke di Chopin nello spirito di Django, con piacevole swing, buon gusto e freschezza.
Nel repertorio troviamo anche tre belle interpretazioni di brani del chitarrista belga tra cui la celebre "Swing 42".
In definitiva un disco riuscito, in equilibrio tra delicatezza armonica, cantabilità melodica e disinvoltura ritmica che s'ascolta con piacere.
www.allaboutjazz.com Pubblicato: 09-05-2010

L'Arbia Big Band cerca di coniugare il passato con il presente, il vecchio con il nuovo, le commoventi melodie mediterranee con l'improvvisazione libera, i ritmi e gli "impasti" timbrici tipici della tradizione bandistica con le inusuali poliritmie di stampo jazzistico orchestrate magistralmente dal direttore e arrangiatore Klaus Lessmann. I brani del repertorio rappresentano la prima fase del jazz, del ragtime, delle "brass bands" di New Orleans, così simile all'esperienza bandistica popolare. Altri riferimenti con la banda tradizionale li troviamo nei pezzi della "Liberation Music Orchestra" di Charlie Haden con gli arrangiamenti di Carla Bley, uno stile jazz che collega l'improvvisazione a temi popolari dei vari paesi del mondo. Completano il repertorio arrangiamenti di brani dei Beatles e di Nino Rota, senza dimenticare le musiche di grandi interpreti e compositori jazz come Paul Desmond, Nat Adderley e Django Reinhardt. Sul CD, registrato "dal vivo" il 24 novembre del 2006, in occasione del decennale dalla nascita della formazione, nella splendida cornice della fattoria fortificata di Cuna, è possibile ascoltare l'evoluzione stilistica dell'Arbia Big Band e, occasione veramente unica, gustarsi le improvvisazioni di un grande ospite che abbiamo avuto l'occasione di apprezzare, il trombettista statunitense Nate Birkey.

Claudio Airo è jazzista che incarna bene l'esempio dell'italico pianismo jazz, con buona dose di melodismo, tocco caldo e deciso, e quel tanto di liricità che tende al malinconico. Ed in 'Omninside', sua seconda realizzazione discografica, queste sue caratteristiche, che ne contraddistinguono tanto la composizione quanto l'esecuzione, si evidenziano fin dalle prime note introduttive di 'Dissoluzione': ambientazione tesa e scura, determinata dalla tonalità minore, che mai risolve, e da progressioni ascendenti, anch'esse minori, le quali tuttavia riescono a dispiegare l'estrema cantabilità della melodia, delineata dal sax soprano di Klaus Lessmann – egregio direttore della 'Siena Jazz Big Band' – e delle fasi improvvisative, pregnante quella del titolare, sonora e gravida di vibranti sfumature quella del contrabbassista, Franco Fabbrini. Una patina d'ironia riveste la frammentarietà melodica e la curvatura verso il registro acuto di 'Omninside', spinta dalla pulsazione del ride dell'ospite, Francesco Petreni, che nel tratto iniziale ha l'eco scattante di certe figurazioni gillespiane, con risolutivi cambi ritmici. Sebbene ormai abusata nel repertorio jazz, particolare risulta l'adattamento ternario di 'Senza fine', sul cui tema si cimentano, con buona riuscita, tanto il pianista quanto il sopranista, sulle poliritmie create dagli accenti del contrabbasso e dai tonfi dei tamburi....

... 'Box and One', clima certamente diverso in questa composizione di Lessmann, una ballad che segue maggiormente le scansioni ritmiche ed armoniche del jazz più straight: ma anche qui Airo è capace di infondere l'impronta del proprio pianismo con il suo fraseggio scavato e involuto. ... dal canto suo Lessmann si conferma sapiente ancista, sempre a proprio agio indipendentemente dallo strumento imbracciato e soprattutto sempre in grado di cogliere tutte le sfumature dei brani eseguiti. Infine, ottima la scelta dell'immagine in copertina, che rappresenta bene la profondità prospettica e leggermente ondulata della musica del pianista milanese.
Antonio Terzo per Jazzitalia

Nato in Germania nel 1961, Klaus Lessmann, clarinettista, sassofonista, compositore, arrangiatore e direttore d'orchestra, risiede a Siena da piu' di 15 anni e in quella citta' e' diventato un riferimento sicuro della scena musicale non solo jazzistica. Numerose sono le situazioni che lo vedono protagonista o collaboratore prezioso; tra queste merita particolare attenzione il quartetto del presente CD, vuoi per la lunga militanza concertistica del gruppo che ne assicura coesione e compattezza, vuoi perche' significativo esempio dell'estetica musicale di Lessmann.
In A Gmade Wiesen si respira un jazz che profuma d'altri tempi, con i piedi ben saldi nella tradizione, non a caso i tre brani non originali portano la firma di Duke Ellington e Django Reinhardt, con l'uso quasi esclusivo del clarinetto e con la predominanza di temi dalla linea melodica accattivante e di facile presa sull'ascoltatore. L'aria che attraversa il disco e' spesso frizzante, "Gattone Animato", "Love in Five", "Zwelerbob", "Stevedore Stomp", a volte sinuosa "Fleur 'Ennui" e "Blue Goose", a tratti languida "Sweet and Low", "Tiers", ma sempre ricca di swing.
I musicisti si muovono con grande agio tra le maglie di una scrittura briosa: Lessmann ha un tono carezzevole e mai invadente, Paolo Birro al pianoforte e' lucido ed elegante sia in fase solistica che in quella di accompagnamento, Aldo Zunino e Walter Paoli formano una ritmica puntuale e fantasiosa. A Gmade Wiesen e' un disco leggero, di una leggerezza che non va confusa con certa superficialita' ma piuttosto con sensibilita' interpretativa e rispetto di una tradizione musicale spesso bistratta.
Valutazione : * * *
Recensione allaboutjazz.com (Vincenzo Roggero)

Ormai legato a doppio filo all'associazione Siena Jazz, Lessmann firma un lavoro intelligentemente legato alla tradizione: non quella degli standard o la replica di elementi bop, bensì il recupero argutamente critico di tratti desunti da New Orleans, dalla Swing Era e dalle grandi orchestre. In tal senso "A Gmade Wiesn" può considerarsi una degna continuazione della strada intrapresa con "Sweet, soft, plenty rhythm", inciso nel 1996 con la stessa ritmica e dedicato a Jelly Roll Morton.

Autore di otto brani su undici, il tedesco convoglia molteplici riferimenti nel proporio approccio al clarinetto: un blues feeling terreno che collega idealmente Johnny Dodds a Jimmy Giuffre e Tony Scott; un'eleganza melodica e un senso architettonico che rievocano Benny Goodman e Artie Shaw ma soprattutto richiamano gli ellingtoniani Barney Bigard, Jimmy Hamilton e Russell Procope. Al soprano Lessmann mostra un linguaggio ancor più moderno, contraddistinto da un eloquio scarno. Queste caratteristiche gettano i presupposti per la trasposizione in una moderna sintassi prima di Fleur d'ennui di Django Reinhardt, poi di Stevedore Stomp e Blue Goose dal repertorio del primo Ellington. All'attualità dell'incisione contribuiscono in misura determinante la profondità armonica e le squisite intuizioni di Birro, nonché la leggerezza con cui Zunino e Paoli regolano il flusso ritmico.

-Boddi (Musica Jazz; March 2006)

'Abstrutions' is the second recording by Italy's 'Siena Jazz Big Band', which was formed in 1994 as a part of the 'Associazone Siena Jazz' school and now includes professional musicians as well as students and amateurs. ...
The band stretches more this time around, covering tunes by a diverse assortment of composers from Django Reinhardt, Fats Waller, Benny Carter and Billy Strayhorn to Keith Jarrett, Wes Montgomery, Stanley Cowell, Tadd Dameron and others. There are two originals, 'Psycofarma' by bassist Franco Fabbrini, and 'KV 428' by the band's director, Klaus Lessman. The album opens ancloses with brief renditions of Cannonball's theme, bassist Sam Jones's 'Unit 7'.
While there's no doubt that three years have made a difference in the band's cohesion and prowess, there's also no doubt that this is basically a college-level ensemble, even though an admirable one in many respects. Brass and reeds are usually on the mark, the rhythm section sharp and supportive, and if the soloists aren't especially spellbinding they are at least respectable. Lead trumpeter Maurizio Pasqui is a standout on 'KV 428' (recorded in concert, with a minor stereo glitch in midstream), guitarist Diego Perugini likewise on the two compositions by Montgomery, 'Mr. Walker' and 'Movin' Along.' Lessman is another of the soloists, unlimbering his clarinet on Reinhardt's' Lentement, mademoiselle,' Carter's 'Lonesome Nights,' Strayhorn's 'Lotus Blossom' (on which he excels) and 'But Not for Me/Tadd's Delight,' his soprano sax on 'Bem Bom,' one of three vocals by Maria Laura Bigliazzi who returns from GOP (the others are 'Frankie and Johnny' and 'But Not for Me'). As before, Ms. Bigliazzi has her problems with the English language and seems far more at ease on the Brazilian 'Bem Bom,' which she interprets delightfully. In sum, a meaningful step forward for the Siena Jazz Big Band, which continues to advance under Mr. Lessman's able guidance.~ Jack Bowers
Recensione 'Jazz Podium' 5 / 2004

'Siena Jazz Big Band' 'Abstrutions' Der Burghausener Klaus Lessmann lebt seit 1986 in Siena, Italien. Warum auch nicht, wer würde nicht gerne in Bella Italia leben? Dort ist er als Musiklehrer, Buchautor und Big Band Leader tätig. Mit seiner Siena Jazz Big Band war er nun im Studio. Ein herrliches Album ist dabei entstanden, luftig, transparent und warm. Wie Bella Italia eben. Als wäre geradezu die talienische Lebensart in die Arrangements eingewoben worden. Auch die Songauswahl ist etwas für sonnigere Gemüter: Django Reinhardt, der frühe Keith Jarrett, Wes Montgomery, Fats Waller, Benny Carter, Gershwin, Billy Strayhorn, nebst einem einzigen Titel von Lessmann selbst und einem von seinem Bassisten Franco Fabbrini. Das Orchester agiert niemals solistenbezogen. Auch dann nicht, wenn der Leader zur Klarinette greift und den Ton angibt. Nicht einmal drückt einem das viele Blech gegen die Gehörgänge.Wunderbar inszeniert sind die Ausflüge in die Jazzhistorie."Abstrutions" ist locker und leicht, stets groovt es, swingt und immer ist Lessmanns Big Band für eine überraschende Wendung gut. Toll.

Klaus D. Zeh

Das Klarinettenquartett, das Klaus Lessmann mit drei Instrumentalkollegen gegründet hat, besitzt zumindest vom Repertoire her ein stilistisch breites Spektrum. Auf "Clarinettology" finden sich neben fünf Eigenkompositionen Lessmanns Stücke von 'Jelly Roll' Morton, Billy Strayhorn, Red Norvo, Duke Ellington, Steve Swallow und Ornette Coleman. Norvos "Dance of the octopus" beginnt das Album und setzt den Ton: Das ursprünglich 1933 vom Norvo Quartett eingespielte Stück klang schon in der Orginalfassung wie eine Art Vorwegnahme des Third Stream der 50er Jahre.

Relativ stark durcharrangiert mit impressionistischen Klangwirkungen, mit Voicings, die sich erheblich von denen unterschieden, was ansonsten im Jazz üblich war, mit fliessenden Übergängen von kompositorischen in improvisatorische Teile und zurück, und darüber hinaus mit einer überaus unüblichen Instrumentierung (Red Norvo damals am Marimaphon und Benny Goodman an der Bassklarinette), war "Dance of the octopus" eher Jazz-orientierte Kammermusik als Mainstream Jazz. Und vor allem dieses kammermusikalische lässt sich auch bei Lessmann konstatieren: eine sauber gespielte, durcharrangierte Musik mit klar definierten Freiräumen für die Soli der Musiker, die aber nirgends den kammermusikalischen Duktus verlassen.

In Ornette Colemans "Mrs. P.C." improvisieren die vier über ein Ostinato der jeweils anderen, nicht solierenden Bläser. Ansonsten steht, egal ob Ellington oder Ornette, Lessmanns Orchestriersprache im Vordergrund. Und sie ist es auch, die im Gedächtnis bleibt: Wunderbare, manchmal etwas düster gesetzte Harmoniemusik mit genügend Klappengeklapper, um die Perfektion der vier Musiker in ein menschliches Hörerlebnis zu überführen. In einzelnen der Stücke gesellt sich dem Quartett aus Lessmann, Massimo Guerri, Gianluca Perugini und dem Bassklarinettisten Nicola Giovagnini einige Nicht-Klarinettisten hinzu: der Pianist Paolo Birro, der Gitarrist Riccardo Galardini und der Perkussionist Ettore Bonafé. Diese sorgen dafür, dass die Kammermusik dann ab und zu noch ein wenig mehr swingt.

Wolfram Knauer - "JAZZ PODIUM" Juli / August 2004

Diese CD beginnt wie ein akustisches Rätsel. Tastende Töne und hingehauchte Klangfiguren ändern scheinbar ziellos hin und her. Schliesslich gewinnt ein alter Song von Red Norvo Kontour und man darf mitschnippen. Die Swingstandards von Norvo, Ellington und Strayhorn sind weit ab von jeglichem Nostalgie-Kitsch - toll angepasst an den weichen Klarinettenklang. In den impressionistischen Stücken von Klaus Lessmann sorgen sparsame Perkussion, Gitarre und Klavier für Abwechslung - eine Musik zwischen impressionistisch-farbigem Klangnebel und lockerem Bossa. Die drei Klarinetten plus Bassklarinette decken einen beeindruckenden Tonraum ab und halten eine angenehme Balance zwischen Arrangement und locker improvisierten Melodien. Eine entspannte Musik zum Hinhören, Genießen und sich treiben lassen.
http://www.cheiron.de/crossalt.html

Questo album dimostra che intorno alla musica di Morton non si possono effettuare soltanto operazioni strettamente filologiche, ricostruzioni in sala di incisione degli equilibri delle sue magnifiche composizioni. Lessmann non si accontenta infatti di ricreare la musica del "primo grande compositore del jazz" o di usare le sue opere come semplice materiale grezzo; ne studia invece le strutture (gli elementi costitutivi di una musica che affonda le radici nel jazz neorleansiano e nella forma multitematica del ragtime) e le usa in un contesto concettualmente moderno, anzi contemporaneo, in tutti i suoi aspetti: dal modo di interpretare il ritmo al ruolo dei solisti, dalle pronuncie agli impasti timbrici (basta pensare all'uso del sassofono).
Ma la musica di Morton non e comunque nuova a operazioni di questo genere, anche perche presenta molteplici elementi di modernità: dall'armonia all'uso di tempi doppi e riff, alle qualita di sintesi di un ampio universo musicale afroamericano (mai come oggi attuali). E gli appassionati piu giovani forse ignorano che uno dei maggiori successi dell'era dello Swing (periodo in cui Morton venne emarginato dalla scena musicale) fu il suo King Porter Stomp rivisitato dall'orchestra di Benny Goodman; in questo disco viene proposto addirittura in una versione ternaria sorprendentemente efficace.

Lessmann ha sciolto molti intrecci, reso più lineari le parti, assegnato con cura gli assoli e trasformato i brani, che non rispondono sempre alla struttura originale perchè a volte ne ha impiegato solo alcune sezioni, mostrando uno stile di scrittura che in certi casi risulta influenzato dal miglior jazz West Coast.Attenta è anche la scelta dei partner e felicissima quella di Gianni Basso, portatore di un sound assolutamente congeniale allo stile di Lessmann.
Questi, oltre ad arrangiare composizioni note e meno note di Jelly Roll, gli dedica un proprio brano (quello che intitola il Cd) nel quale usa le sue tipiche progressioni blues e le figure cromatiche discendenti di Freakish.
M.F. (da Musica Jazz )

"Jazz music is to be played sweet, soft, plenty rhythm. When you have your plenty rhythm with your plenty swing, it becomes beautiful." Jelly Roll Morton (in Mister Jelly Lord, by Alan Lomax)

Of course, this definition of jazz music is a little bit narrow and even in the music of Jelly Roll himself you can find other types of musical expressions, some harsh, loud, exuberant sounds, not to mention sorne of his sideman, who didn't swing at all. But like in everything he said, there is something true in these words, and Sweet, soft, plenty rhythm seemed to me to be a perfect title for my tune dedicated to Jelly Roll and for this record.

Why do a record of Morton's music in 1996? Well, there are various reasons. One of them is personal, because Jelly was the man who turned me on to jazz some twenty years ago. But in general, I think the main goal for a jazz musician in writing or arranging is to 'force' himself and hiscolleagues to find new land to explore in improvisation.

Going back to Morton, I found myself having to deal with things that had nearly disappeared later on, such as multi-structure compositions, collective improvisation, different rhythmic ideas and a different harmonic language from the Tin Pan Alley approach predominant in jazz standards and in many jazz originals.

Klaus Lessmann (note di copertina di Sweet, soft, plenty rhythm)

Wenn sich ein Klarinettist mit seinem Sextett der Musik von 'Jelly Roll' Morton annimmt, dann erwartet man gemeinhin eine Repertoireband, die die Arrangements der legendären Aufnahmen möglichst orginalgetreu nachspielt, eigenes gerade mal in Versatzstücken durchblicken lässt.
Der Klarinettist Klaus Lessmann will anderes: Er will Mortons Musik zum swingen bringen, ihr ein moderneres, witzig-spannendes Kleid verpassen, im Arrangement genauso wie in den Soli.
Dazu verändert er die Kompositionen Mortons schon mal, lässt den zweiten Teil des "Wolverine blues" fort, spielt den "King Porter Stomp" im Dreivierteltakt, nutzt aus dem "Froggie-more-rag" nur den Trioteil usw.
Seine Mitmusiker stammen aus dem modernen Mainstream-Lager des italienischen Jazz: Marco Tamburini, tp, Gianni Basso, ts, Paolo Birro, p, Aldo Zunino, b, und Walter Paoli, dr.

Die Idee des Albums ist nicht neu, sie erinnert ein wenig an Gil Evans' "Old Wine, New Bottles" aus den 1950er Jahren, geht mit dem gehörigen Respekt, zugleich aber auch dem Blick des Jahres 1996 auf die Historie dieser Stücke ein: als Kompositionen, als Schallplattenaufnahmen, als jazzästethische Aussagen. Lessmann selbst ist bestimmt kein Neutöner, sein Klarinettenspiel ist tief im Idiom des frühen Jazz und des Swing verwurzelt, auch wenn man sich zum Beispiel dort im Sound stellenweise an Jimmy Giuffre erinnert fühlt, wo Lessmann dem Klang seines Instruments mehr Luft beifügt und ihn damit etwas heiserer gestaltet.
Der Vergleich zu Wynton Marsalis drängt sich auf, insbesondere zu Aufnahmen, in denen dieser sich mit der Musik seiner Heimatstadt New Orleans auseinandersetzte, der Filmmusik zu "Tune in Tomorrow" beispielsweise. Doch wo Marsalis sozusagen idiomatisch nachkomponierte, da seziert Lessmann das Repertoire, die Stücke Jelly Roll Mortons, sucht nach möglichen Improvisationsbasen, entledigt sich oft genug der ursprünglichen einkomponierten Kontraste. Für Morton war der kompositorische Ablauf wichtig, diente die Improvisation der Verwirklichung seiner kompositorischen Idee.

Bei Lessmann dreht sich diese Verhältnis nicht umbedingt um, er stellt die Auseinandersetzung mit den Originalstücken in den Vordergrund, spielt mit der Bekanntheit der Stücke oder einzelner Stilcharakteristika, die durch seine Arrangements verfremdet wirken und damit durchaus wieder zur Auseinandersetzung mit dem Original anregen. Die Frage nach dem Wie ("Was macht er da?) drängt sich genauso oft auf wie das Vergnügen an der einfallsreichen Umgestaltung der Musik. Abgeschlossen wird die CD durch Lessmanns eigenes "Sweet, soft, plenty rhythm", ein Tribut an den von ihm bewunderten Ahnen, der ein Album abrundet, das im kreativen Umgang mit dem Vorbild wohltuend und erfrischend klingt.

KLAUS LESSMANN, THE MUSIC OF 'JELLY ROLL' MORTON

From Italy comes Klaus Lessmann's homage to the music ot one of Jazz' founding fathers. Morton's was among the first Jazz Lessmann heard and, despite Lessmann's being an obvious modernist, it had a profound effect on his music. Among the reasons Lessmann was attracted to Morton was the multi-partite structure of the music. Morton frequently wrote employing different sections (or strains) which was a compositional holdover from the ragtime era. In general, since Morton's time, small group Jazz composition has become more "simplified." Lessmann felt that these more elaborate compositions might present his improvisers with new challenges and force them not to rely on personal cliches that may have developed.

Lessmann adopts a variety of strategies in approaching the music. Although the full group is a sextet, he also works with smaller cornbinations. "The Animule Ball" is a romp for clarinet, bass and drums. Morton's tango "Spanish Swat" is scored for clarinet, piano, and bass and this instrumentation puts the lovely melody in stark relief. "Frog I More Rag" is done as a duet for piano and clarinet.

But, for the majority of the tracks, Lessmann uses the full ensemble. It should be mentioned that these are modern arrangements, not recreations of the Red Hot Peppers recordings. It's surprising how easily these songs adapt to contemporization. "Fickle Fay Creep"'s, middle strain is played over a pedal point and sounds as if it could be from Ihe Coltrane era. Sometimes Lessmann slows down ("Crazy Chords") or speeds up ("Primrose Stomp") the original tempo. Perhaps the most unusual arrangement is "King Porter Stomp" which is done in a mid-tempo 3/4. Initially a shock, afler a few listens, it becomes more natural. Even in 3/4, the final riffing section accrues a demonic energy. There's true strength to these compositions (presumably, as Morton intended).

The soloists rise to the occasion. Lessmann, normally a multi-reed player, sticks to clarinst for the set. He has a rich, woody sound in the lower registers and his upper register work is never shrill. It's also nice to see veteran ltalian saxophonist Gianni Basso with these younger players. The fullsounding front-line frequently sounds like more than three pieces owing to these players' full-bodied tones.
This is a worthwhile project, well worth hearing. It demonstrates the adaptabitity and suitability of truly timeless music. I also suspect Jelly Roll would have hated it.
Robert lannapollo (Cadence)

Lessmann, a fine clarinettist and stalwart of the Siena Jazz organisation, asks and answers the obvious question in this set of Morton's pieces. "Why do a record of Morton's music in 1996?... Going back to Morton, I found myself having to deal with things that had nearly disappeared later on, such as multi-structure compositions, collective improvisation, different rhythmic ideas and a different harmonic language from the Tin Pan alley approach predominant in jazz standards and in many jazz originals." Such ideas are being seen, but have, as Lessmann states, "nearly disappeared". This project is one very welcome way of getting them back into jazz thinking.(Jazz Changes)

Wenn sich ein Klarinettist mit seinem Sextett der Musik von 'Jelly Roll' Morton annimmt, dann erwartet man gemeinhin eine Repertoireband, die die Arrangements der legendären Aufnahmen möglichst orginalgetreu nachspielt, eigenes gerade mal in Versatzstücken durchblicken lässt. Der Klarinettist Klaus Lessmann will anderes: Er will Mortons Musik zum swingen bringen, ihr ein moderneres, witzig-spannendes Kleid verpassen, im Arrangement genauso wie in den Soli. Dazu verändert er die Kompositionen Mortons schon mal, lässt den zweiten Teil des "Wolverine blues" fort, spielt den "King Porter Stomp" im Dreivierteltakt, nutzt aus dem "Froggie-more-rag" nur den Trioteil usw. Seine Mitmusiker stammen aus dem modernen Mainstream-Lager des italienischen Jazz: Marco Tamburini, tp, Gianni Basso, ts, Paolo Birro, p, Aldo Zunino, b, und Walter Paoli, dr. Die Idee des Albums ist nicht neu, sie erinnert ein wenig an Gil Evans' "Old Wine, New Bottles" aus den 1950er Jahren, geht mit dem gehörigen Respekt, zugleich aber auch dem Blick des Jahres 1996 auf die Historie dieser Stücke ein: als Kompositionen, als Schallplattenaufnahmen, als jazzästethische Aussagen. Lessmann selbst ist bestimmt kein Neutöner, sein Klarinettenspiel ist tief im Idiom des frühen Jazz und des Swing verwurzelt, auch wenn man sich zum Beispiel dort im Sound stellenweise an Jimmy Giuffre erinnert fühlt, wo Lessmann dem Klang seines Instruments mehr Luft beifügt und ihn damit etwas heiserer gestaltet. Der Vergleich zu Wynton Marsalis drängt sich auf, insbesondere zu Aufnahmen, in denen dieser sich mit der Musik seiner Heimatstadt New Orleans auseinandersetzte, der Filmmusik zu "Tune in Tomorrow" beispielsweise. Doch wo Marsalis sozusagen idiomatisch nachkomponierte, da seziert Lessmann das Repertoire, die Stücke Jelly Roll Mortons, sucht nach möglichen Improvisationsbasen, entledigt sich oft genug der ursprünglichen einkomponierten Kontraste. Für Morton war der kompositorische Ablauf wichtig, diente die Improvisation der Verwirklichung seiner kompositorischen Idee. Bei Lessmann dreht sich diese Verhältnis nicht umbedingt um, er stellt die Auseinandersetzung mit den Originalstücken in den Vordergrund, spielt mit der Bekanntheit der Stücke oder einzelner Stilcharakteristika, die durch seine Arrangements verfremdet wirken und damit durchaus wieder zur Auseinandersetzung mit dem Original anregen. Die Frage nach dem Wie ("Was macht er da?) drängt sich genauso oft auf wie das Vergnügen an der einfallsreichen Umgestaltung der Musik. Abgeschlossen wird die CD durch Lessmanns eigenes "Sweet, soft, plenty rhythm", ein Tribut an den von ihm bewunderten Ahnen, der ein Album abrundet, das im kreativen Umgang mit dem Vorbild wohltuend und erfrischend klingt.

Si apre, con questo compact, la produzione di jazz promossa dal Sam Studio, un centro di registrazione che già vantava benemeriti rapporti con Siena Jazz e i suoi corsi, e che ha sede a Lari, in provincia di Pisa, via Porta Fiorentina 1.
Nè prendano nota gli appassionati perche il disco merita attenzione. Il tedesco Klaus Lessmann è ormai di casa in Toscana (insegna a Firenze e appunto a Siena) e lo si ricorderà in un paio di interessanti Splasc(h) di quattro o cinque anni fa: "Insolitudine", con il chitarrista Galardini e il pianista Morena e "Biri San" di Maunzio Picchiò.
Finalmente Lessmann si lascia riascoltare, e lo fa con una sorpresa: tralasciando i suoi sassofoni per concentrarsi tutto sul ciarinetto dando al gruppo un colore he può far venire in mente certe gloriose cose di Jimmy Giuffre, ma immettendovi di suo molte personali idee, tanto come strumentista quanto come compositore. ll quartetto e peraltro saldamente piantato su basi granitiche, vale a dire sulla scelta di musicisti di sicura esperienza, anche se l'età, al momento della registrazione, era compresa tra i ventott'anni di Petreni e i trentuno del leader.
Come solista conferma tutte le sue qualità il veneto Birro, affermatosi nella fucina di Verona e nell'orchestra "Il Suono Improvviso". Il disco ha una prevalenza di tempi assai lenti, di atmosfere da incantato miraggio: 'Dream team' e 'So Bad', soprattutto, 'Klaustrophobia', 'The Loneliness of a Long Distance Romance', ma ogni tanto il battito si accellera brioso ('Hello', 'High D', 'Sam Zunino'….).
E' in quale che sia il clima, si può star certi che Lessmann con le sue frasi errabonde, Birro con tocchi incisivi e gli altri due con apporti di colore, riescono a farci gustare un'ora esatta di apprezzabilissimo jazz da camera, mai pretenzioso, mai furbastro.
G.M.M. (da Musica Jazz )

Il catalogo della Splasc(h) si allunga: viene così offerta l'occasione di farsi ascoltare su disco un po' a tutti i musicisti giovani. Fra questi Picchiò, batterista e percussionista di buona lega, che per l'occasione guida un quartetto (un quintetto in due brani) apprezzabile per la capacità di creare una gamma di situazioni eterogenea e, a tratti, stimolante. In evidenza (e in spolvero) Lessmann, ottimo soprattutto al clarinetto, ma anche autore di talento; suoi sono i pezzi a mio avviso più interessanti dell'album: 6 settimane e 1/2, una ballad caratterizzata da frequenti mutamenti ritmici e Really the end, dal tema zigzagante, vagamente à la Monk.
Ma riusciti risultano anche gli altri, e questo per il contributo di tutti i giovani musicisti. Dall'intimistico Metropolitango allo psicomotorio Psycofarma; dalla serena compostezza di Lights a Ma allora siamo pesci dal sapore bossanovistico, al complicato Rag. L'area espressiva, nonostante l'impiego di una strumentazione elettrica, è fondamentalmente quella di un jazz moderno 'moderato', godibile, musicale. Un'opera prima da accogliere con simpatia e incoraggiamento: le premesse per una maturazione ulteriore ci sono tutte.
S.A.; Musica Jazz 6/1989

The current fusion of mainstream jazz has much to do with the infusion (pun intended) of pop rhythms, the newer technologies, and, at times, even free improvisation. In this way, the music perhaps seeks to embrace the roots, the popular and the radical in one fell swoop...
More agile guitar can be heard o the remaining disks...Of the two, Picchiò's is the more captivating thanks to the drummer/leader's convincing DeJohnette-like polyrhythmic float, some expansive soprano from Lessmann (on Rag and espcially End) and Galardini's guitar efforts on Psycofarma, which, while decidedly mainstream, rely more on organic feel than on structural formality. As regards writing, the opener is particularly striking though its constant movement from area to area borders on distracting.
Milo Fine; 'cadence', september 1989

As should be expected by now from this label, these are two thoroughly professionally-conceived and executed albums involving talented musicians, but the fact remains that, in each case, some of the parts are greater than the whole.
For alle the positive drive and compelling commitment exhibited on...Rag (no relevance to Joplin here), Lights or Lessmann's hauntingly poignant work on Settimane, too much of the music wallows in the Nouvelle Vague. That ist the style typified by the Maiden Voyage of Herbie Hancock and the crystalline work of Gary Burton and Chick Corea; it has been carried on through many of the recordings by ECM and represents the narrowest interpretation of the lessons learned from the lyric side of John Coltrane.
Chris Sheridan; Jazz Journal International, sept. 1989

Una piacevole sorpresa il trio di Riccardo Galardini chitarra, Klaus Lessmann sassofono e clarinetto, Carlo Morena piano, portatori di una serenità sonora molto suggestiva, come testimonia la bellissima composizione d'apertura di Morena, Luci del silenzio. La stessa gioia di fare musica senza compromessi né sudditanze stilistiche si ritrova nel brano che segue, The Old Devils, composta da Lessmann. Il panstilismo di questo trio si tocca con il terzo brano, Le correnti del golfo, composta da Galardini, a conferma di un percorso che guarda più alla sincerità dell'espressione che non al vincolo di dirigersi in questa o quella direzione. Ma non si pensi ad un trio privo di personalità, piuttosto a tre musicisti che vivono la musica in tutte le sue variegate tendenze, senza porsi limiti ma esplorando in piena armonia e con serenità i vari percorsi. Perché l'importante non è essere "a la page" o riferirsi ad una corrente ma esprimere senza pudore le proprie convinzioni. E sotto questo aspetto, il panstilismo del trio riflette una forte espressività, diretta in varie direzioni ma ben salda sui contenuti e sulla qualità. Disponibile solo in LP.
'Suono' ?/89 M. Luzzi

I giovani musicisti non aspettano l'anno 1992 per realizzare l'Europa del jazz: ce lo ricorda un sassofonista e clarinettista tedesco, Klaus Lessmann, da tempo trapiantato in Italia (a Siena) dalla natia Wiesbaden, e presto inseritosi nel giro. Questo trio non è tuttavia una formazione stabile, ma il frutto di un incontro risultato purtroppo occasionale. C'è infatti con Lessmann un abituale suo partner, il chitarrista toscano Riccardo Galardini (arrangiatore di colonne sonore, tra cui quelle dei film di Francesco Nuti), e c'é il pianista Carlo Morena, un pescarese che abita a Bologna e che segue tutt'altre strade. Peccato, perché il trio ha una sua caratteristica specifica, che è già uno dei tanti pregi mostrati via via che questa 'Insolitudine' scorre. Domina il suono che Klaus Lessmann si è saputo forgiare, non soltanto con il soprano, che è probabilmente il suo strumento d'elezione, ma anche con un modo abbastanza insolito di trattare il tenore, avvertibile in The Old Devils. I brani (quasi tutte composizioni 'interne' al trio, in maggioranza di Lessmann) alternano situazioni e protagonisti con calibrata misura, in un interplay che non soffre affatto per quella estemporaneità da cui il disco è sostanzialmente nato. Così ognuno vi si ritaglia il suo spazio (punte di particolare pregio hanno Galardini in Paola e Morena in Tenera è la nota) con un livello tanto costante e tanto elevato da far veramente sperare in un nuovo (ma per ora non ipotizzato) incontro dei tre.
G.M.M; Musica Jazz 5/1989